Abbiamo intervistato Alessandra Farabegoli, ideatrice, assieme a Miriam Bertoli e Gianluca Diegoli, di Freelancecamp Italia, barcamp annuale dedicato alla realtà del lavoro indipendente.
Il Freelancecamp si tiene ogni settembre a Marina Romea (RA). È in allestimento la sesta edizione, che quest’anno raddoppia con un appuntamento in giugno a Roma. Ogni appuntamento fa il tutto esaurito nel giro di qualche ora.
Noi di AddLance volavamo sapere di più su ciò che rende il Freelancecamp un successo, più qualche consiglio sia per i nostri freelance che per i loro clienti.
Buona lettura!
Quello che stupisce di FreelanceCamp è l’informalità, lo spirito di condivisione (tutti i video sono disponibili gratuitamente in rete), assieme all’alta qualità dagli interventi. Come avete innescato questa magia?
All’inizio del 2012 io, Miriam Bertoli e Gianluca Diegoli avevamo iniziato da poco a lavorare come freelance e ci trovavamo spesso a confrontarci fra noi su come organizzarci e gestire il tempo, i bilanci, l’autoformazione, e anche gli stati d’animo – perché il sentirsi interamente responsabili del proprio destino professionale può essere in certi momenti un peso molto grande.
La prima prima edizione è nata come un incontro fra colleghi e amici, nel 2012 a Marina Romea eravamo una cinquantina di persone, non di più. Questo spirito si è conservato anche negli anni successivi, ed è la chiave del successo del barcamp e anche la ricchezza della comunità di persone che vi partecipa.
Scommetto che nei preparativi della prima edizione ci sia stato un momento in cui hai pensato: “Sì, funzionerà!”. Cos’è che te l’ha fatto pensare?
Io sono sempre stata sicura che sarebbe stato un successo! 😀
Poi in queste cose sono molto serena: le faccio perché penso che ce ne sia bisogno, e se poi non funzionano cerco di capire i miei errori e imparare, quindi alla fine il bilancio dell’esperienza non è mai negativo.
Però, ora che mi ci fate pensare, avevamo deciso di andare al Boca Barranca anche alla vigilia del camp, per “lavorare dalla spiaggia”, e avevamo invitato gli altri iscritti, se volevano, a farci compagnia; quando ne sono arrivati un bel po’ e ci siamo trovati a parlare, ridere, mangiare insieme, ecco che è scoccata la scintilla e ho capito che non solo avrebbe funzionato, ma sarebbe stata una cosa super!
La più grande soddisfazione che FreelanceCamp ti ha dato?
Le persone che alla fine di ogni edizione vengono a ringraziarci, quasi commosse, perché non si sarebbero mai aspettate di imparare tanto da un evento così informale e low-cost.
Quando avete cominciato qual era il più grande bisogno a cui volevate dare una risposta?
Superare la condizione di solitudine che porta a fare errori, a dover reinventare l’acqua calda per riuscire a organizzarsi, a sentirsi anche privi di potere contrattuale di fronte a certi clienti. Parlare fra noi, condividere strumenti, metodi, esperienze, è stato e continua ad essere uno straordinario strumento di empowerment.
E ora? È sempre lo stesso bisogno?
Siamo al quinto anno di Freelancecamp, e per molti tornare è un modo per “ripassare i fondamentali” e per coltivare e consolidare la propria rete. Al Freelancecamp sono nate collaborazioni, amicizie, probabilmente anche amori, e ormai il Freelancecamp romagnolo è anche un modo per rivedersi tutti insieme – non che durante il resto dell’anno non ci frequentiamo, ma tutti insieme è meglio.
Per chi è alla sua prima volta – penso soprattutto a molti dei partecipanti dell’edizione romana – imparare e fare rete sono e restano i bisogni principali.
Uno dei meriti di FreelanceCamp, oltre alla bontà dei contenuti che offre e all’emozione che dà ai suoi partecipanti, è quello di contribuire a creare nei freelance una “coscienza di classe” come la chiamerebbe qualche economista. Rispetto a questo, come vedi la situazione italiana?
Beh in questi anni un po’ di cose sono cambiate, per fortuna. ACTA, l’associazione dei freelance, è cresciuta e ha fatto battaglie importanti, tanto che nei giorni scorsi è diventata legge lo statuto delle partite IVA; certo, resta una parte del mondo politico e sindacale che sembra avere ancora una visione del lavoro ottocentesca, ma si sta ampliando la consapevolezza che per molti la partita IVA è una scelta; e anche tutto ciò che facilita la regolarizzazione delle “false partite IVA” ci aiuta, perché non è la partita IVA che fa il lavoratore autonomo, ma la scelta consapevole dell’autonomia.
Passiamo ai consigli: ne hai uno in particolare da dare ai nostri freelancer?
Non avere la pretesa di fare tutto da soli: capire cosa sappiamo fare bene, cos’è nelle nostre corde, e delegare il resto ad altri è importantissimo. E poi, non avere paura ogni tanto a dire di no.
E un consiglio per i clienti che li cercano su AddLance?
Non scegliere solo sulla base del prezzo più basso: chi si svende, spesso lavora peggio perché deve prendere tutti i lavori possibili per arrivare a fine mese, quindi finirà per consegnare tardi e lavorare peggio.
Grazie Alessandra per la tua testimonianza e i preziosi consigli. In bocca al lupo per le prossime edizioni!
Per chi non è riuscito ad accaparrarsi un posto: niente paura, potrai seguire l’evento in streaming.
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