Se sei tra i più maturi lettori di questo blog, ricorderai il claim della famosa pastiglia lassativa. Noto a molti grafici anche per come era in grado di sintetizzare il significato di logo: parola in grado di caratterizzare e promuovere un’azienda o un suo prodotto. Dai tempi di carosello, più indietro non ci spingiamo, il mondo… è un altro mondo! Siamo immersi in un oceano di segni che ci investono ogni giorno con tzunami percettivi sempre più violenti e pervasivi. Creare loghi è diventato un imperativo, tanto che icone, immagini still, animazioni e clip di ogni genere, cercano di attirare la nostra attenzione, imprimersi nella nostra memoria in stato confusionale già dall’ora di colazione.
Anche l’ultimo studio di Colorforward (promosso da Materioteca) sembra riconoscerlo in un trend, denominato care_LESS, che indaga i comportamenti di masse crescenti di individui ormai allergici alla tempesta iconografica globale, determinati a ricavarsi degli spazi di desaturazione visiva, calma interiore, relax percettivo. Basta ancora la parola dunque? La domanda è retorica, l’avrai certamente inteso. Concederai, nonostante ciò, che ce la si ponga per tracciare una linea che dal passato ci porti all’oggi e, chissà, magari a quello che accadrà almeno nel prossimo futuro.
Creare loghi, conosci già la differenza tra logo e logotipo?
Un logo è un’icona, una forma sintetica accattivante. A volte una parola, specie se scritta con un font molto riconoscibile o – a sua volta – disegnato, deformato rispetto al font nudo e crudo, e quindi trasformato in un pittogramma. Nell’eterna lotta tra logo e logotipo (del quale parliamo sotto) ne abbiamo viste delle belle. Ultimamente, forse un altro modo per emergere dal mare di icone, abbiamo visto diventare logo addirittura dei motti: insiemi di parole pregnanti di significato, che evocano la missione dell’azienda. Citizen of Humanity… quello più strano e simpatico che ho trovato: produce jeans negli States. Insomma avrai capito che la fantasia, e mi pare giusto, sia l’unico limite!
Nei pressi del logo (di fianco, sopra, sotto) c’è spesso il logotipo. Possiamo definirlo, forse, come la traduzione semantica in parole del logo, anche se non sempre il legame è palese. Quasi mai è chiaro e rigido il rapporto di senso tra logo e logotipo e, quel che è affascinante, col tempo il senso cambia e a volte svanisce: resta il logo, meno spesso il logotipo.
Creare loghi famosi: il curioso caso Nike, ovvero il logo di prodotto che diventa (esso stesso) azienda
Uno dei casi più famosi è il logo dell’azienda che oggi chiamiamo tutti Nike, creato da Carolyn Davidson nel 1969 per il modello di scarpe da calcio Nike della Blue Ribbons Sports di Phil Knight, allora giovane professore associato dell’università di Portland.
Il logo, nato per uno specifico modello di scarpe e diventato poi logo dell’azienda che ha assunto il nome del suddetto modello di calzature, si è spogliato della scritta Nike… e l’azienda oggi è rappresentata da un graffiante pittogramma del quale, all’epoca, non sembra che lo stesso Knight fosse davvero convinto. Sintesi: nasce un logo per uno specifico modello di scarpe, esso diventa il logo dell’azienda e non delle sole calzature e, intanto, il nome Nike viene rubato dall’azienda alle calzature. Bello, ti pare? La deroga vige sovrana e noi tutti creativi amiamo il disordine!
Creare loghi che non devono confondersi con il marchio: insomma, il logo non è il brand
Nonostante il disordine ci sono differenze che occorre rispettare. Prima fra tutte: il logo non è il brand (anglosassone di marchio) e confonderli sarebbe come farsi un’idea di una persona prima di averci scambiato almeno quattro parole. In altri termini, il logo è pura fascinazione, carattere, immediatezza. Il brand è l’integrale, spesso difficile da rappresentare, delle qualità in termini di valori e originalità di un’azienda. Il logo si stampa nella nostra memoria. Il brand entra nel nostro cuore.
Creare loghi oggi: insomma, la parola basta o non basta più?
Inutile dire che il concetto di logo sta modificandosi profondamente. Cambia il mondo, cambiano i mercati e i media, non vedo perché non dovrebbe cambiare anche un concetto che è nato – potremmo dire – in una fase antropologica differente dalla nostra. Tra tutti i mutamenti genetici che osservo il più affascinante forse è vedere come – sulla spinta delle reti (in 5G è in arrivo pare) e dell’intelligenza artificiale – il logo si stia pian piano animando e navighi in un limbo concettual-emozionale che abita nel segno grafico e, al tempo stesso, in qualcosa che si muove.
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Penso a quello che stai pensando tu! Possibile che spariscano le immagini? Cederanno davvero il passo a un universo di segni fluidi, capaci di inserirsi nella nostra memoria talmente invasa da ogni sorta di segnale da accettare di dimenticare, per sempre, il concetto di icona? Guardiamoci intorno, quindi, e cerchiamo di capire se il logo cederà definitivamente il passo allo Storytelling.
Guest post a cura di Maurizio Giordano
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